“Un Paese che distrugge la sua scuola non lo fa mai solo per soldi, perché le risorse mancano, o i costi sono eccessivi. Un Paese che demolisce l’istruzione è già governato da quelli che dalla diffusione del sapere hanno solo da perdere.” Italo Calvino

Medicina Democratica - Rivista Web Aprile 2019 - RIFIUTI da INCENERITORI UTILIZZATI COME SOTTOFONDI STRADALI ? di Roberto Monfredini

La Regione Carabinieri Forestale Veneto , gruppo di Rovigo il giorno 28 Aprile 2017 informa il Comune di Castelvetro di Modena che 8.500 tonnellate di conglomerato, sono presenti nel suo territorio invitando il Comune “a procedere ad eventuali ulteriori verifiche e/o controlli amministrativi di propria competenza, finalizzati a conoscere la natura del materiale utilizzato … e la reale destinazione d’uso dello stesso”.
L’organismo investigavo insieme alla DDA ,informa i Comuni, l’indagine in corso ha portato a ritenere che nel sottosuolo di aree pubbliche o private si potrebbero celare rifiuti e non MPS (Materie prime seconde) nocive per la salute e l’ambiente dalle analisi in loro possesso. Allegano l’elenco di tutti i Comun ed i siti nei quali è intercorso il rapporto economico tra la ditta oggetto di indagine e il destinatario nel Comune, o il luogo di transizione.
Dalla relazione della Procura emerge che i rifiuti in gran parte possono essere riferibili alle scorie pesanti da impianti di incenerimento (un impianto di incenerimento produce intorno al 25 % in peso di residui solidi – scorie e ceneri – rispetto a quanto viene avviato a combustione). Tenuto dell’elevato numero di inceneritori e quindi di rifiuti a combustione, si tratta di quantità elevate anche nella sola Emilia Romagna come ricorda il report Arpae del 2016 di cui si riporta un estratto.


La normativa permette, in casi definiti, la possibilità di recupero di tali residui (se non pericolosi) nel
settore edile (a partire dalla produzione del cemento) come nella formazione di massicciate stradali e
ferroviarie e, in genere, di sottofondi.
Nel caso delle indagini della DDA è emerso che i residui utilizzati non erano utilizzabili per gli impieghi svolti per superamento degli indici di rilascio per cloruri, rame, piombo, nichel, cromo esavalente e COD, quei rifiuti non potevano essere recuperati. Tali indagini erano relative a un intervento svolto in comune di Rovigo da parte di una impresa (Tavellin Greenline Line) che produce
conglomerato cementizio partendo da residui trattati dal Consorzio Cerea (in comune di Cerea - VR),
società collegata con la prima e partecipata dal Comune ove ha sede.
Le imprese interessate hanno effettuato ulteriori analisi e sostengono che si è trattato di un caso anomalo dovuto a una ritardata solidificazione del prodotto. Una tale condizione fa però sospettare che il prodotto trattato non sia conforme (test di cessione) prima che sia inglobato in una matrice cementizia come svolge la impresa utilizzatrice che si trova quindi a completare quella che è un trattamento di rifiuti e non una semplice miscelazione di leganti per produrre una specifica tipologia di cemento.
La stessa ARPAe, in una nota del 14 marzo 2019 (l’udienza preliminare sui fatti oggetto di indagine si è svolta il 20 Marzo 2019) afferma che nei monitoraggi sulle falde interessate non sono emerse contaminazioni da metalli pesanti, tranquillizzando sugli effetti per la salute dei cittadini, sulla base di questi dati, scandalosamente, la Regione Emilia Romagna ha deciso di non costituirsi parte civile al processo per essendo ben 52 i comuni interessati che possono aver subito tali pratiche illecite e inquinanti sottoposte a procedimento, sulla base di una consulenza legale che, in sostanza, ritiene vi siano poche possibilità di effettivo riconoscimento delle responsabilità al di là del caso specifico in provincia di Rovigo.
Una posizione “pilatesca”, così motivata, rispetto ai risultati di una indagine così articolata lascia stupiti in quanto la stessa DDA non afferma la presenza di immediati pericoli per la salute pubblica, ma il profitto illecito sulla gestone di rifiuti fatti passare per materie prime seconde (differenza : 17 euro/mc contro 257 euro/mc rispetto a “conglomerati ecologici certificati”) con prezzi ridotti del 90%. Logicamente la posa di un rifiuto nel sottofondo stradale può recare danni all’ambiente e quindi
alla salute in relazione alle modalità di uso alla concentrazione degli inquinanti, alla presenza di falde, o corridoi ecologici e di altri recettori sensibili.
Una situazione analoga, con un approfondimento di indagine molto più esteso e complesso, si è verificata lungo il tracciato della autostrada Valdastico Sud ove Medicina Democratica è intervenuta come persona offesa (con un esposto che ha attivato le indagini) quindi ha partecipato con propri tecnici nell’incidente probatorio ed è parte civile nel processo. Per non dire del caso più noto della Bre.Be.Mi., situazioni raccontate nel numero della rivista cartacea 233-234 https://www.medicinademocratica.org/wp/?p=6400 .
Anche in quella situazione (in un secondo e in terzo spezzone dell’indagine per la Valdastico) è coinvolto il Consorzio Cerea Viceversa l’accusa parla che“ al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, con più operazioni e mediante l’allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, gestivano abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti tossici, con elevati valori di pH (H8 “corrosivo”), miscelando o comunque trattando, in modo improprio, materiale inerte con scarti di lavorazione industriali, contenenti cromo totale, cromo esavalente, fluoruri, nonché cobalto, nichel, piombo, rame, vanadio, stagno e zinco, COD, solfati, cloruri, bario.
Gli imputati presentavano fraudolentemente, anche con l’utilizzo di certificati di analisi effettuati su campioni di sostanze di altra tipologia, i suddetti materiali inquinati come materiali di cantiere, aventi caratteristiche conformi alle prescrizioni del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, parte VI, Titolo V, all. 1 colonna B (“materiale inerte aggregato riciclato In.Ar.Co sabbia 0/80” e “materiale misto cementato Concrete Green 80x”) e li cedevano, quindi, a terzi per la realizzazione di opere edili e/o di riempimento.” (Relazione territoriale sulla Regione Veneto, Commissione Parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati, seduta del 13.06.2016 ).
La contaminazione della falda non è, fortunatamente, all’ordine del giorno in un caso come quello di cui si discorre (in altri caso come quello della Frattina dove fanghi contaminati hanno una altezza di 6 metri, invece sì) pertanto fondare una decisione (di non partecipazione al processo) su dati che non possono, dato il breve tempo trascorso, confermate un interessamento della falda, è strumentale.
Piuttosto l’ente regionale dovrebbe contribuire alla conoscenza della situazione con ulteriori analisi sulla composizione delle scorie, con indagini sulla provenienza e i trattamenti svolti (o mancati) sui rifiuti prima del loro uso improprio nelle massicciate per evitare di confermare quanto indicato dalla Commissione parlamentare ovvero “ tale modo di procedere dell’amministrazione pubblica finisce con il conferire al giudice penale un ruolo di supplenza che non gli spetta e che, in ogni caso, è tardivo e sicuramente inefficace perché interviene quando un reato è già stato commesso e, generalmente, un danno si è già verificato. Si tratta di un danno la cui eliminazione è molto difficile, se non addirittura impossibile, pena il rifacimento totale dell’opera pubblica.”
Anche la scelta della stessa Regione ER di non costituirsi parte civile al processo con una vastità di Comuni interessati simile, lascia aperte molte interpretazioni che si chiariranno certamente con l’avvio processuale. Leggendo dalla stampa certamente esiste una netta presa di posizione dei Comuni Romagnoli rispetto al territorio ove solo tre Comuni non si sono costituiti parte civile (Modena si è costituito).

Chi scrive, partendo dall’evento qui riassunto, ha verificato l’utilizzo di ingenti quantità di rifiuti anche nel comune di Castelvetro, tra questi l’utilizzo di conglomerato bituminoso (CER 170302) per la realizzazione di sottofondi in opere di urbanizzazione primaria. I nostri dubbi, segnalati alla Procura di Venezia, riguardano sia l’effettivo utilizzo di rifiuti “conformi” (corrispondenti a quelli autorizzati e nel rispetto dei test di cessione) come l’impiego anche in zone soggette a protezione per la vicinanza di punti di prelievo dell’acquedotto, nonostante l’esplicito divieto della Provincia.
Contiamo che anche questi aspetti siano oggetto di accurate indagini.
Roberto Monfredini ,  Modena

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