“Un Paese che distrugge la sua scuola non lo fa mai solo per soldi, perché le risorse mancano, o i costi sono eccessivi. Un Paese che demolisce l’istruzione è già governato da quelli che dalla diffusione del sapere hanno solo da perdere.” Italo Calvino

La «green economy» non basta

- Alberto Ziparo, 04.02.2016

Dentro la grande crisi. L’emergenza ambientale è ormai il nodo centrale. Servono azioni profonde

e veloci

In attesa della prossima «catastrofe ambientale», sono addirittura le organizzazioni economiche a

ricordarci la gravità delle crisi ecologiche: il Global Risks Report (Grr) del Wef a Davos, e addirittura

l’Ocse.

Nel primo si spiega come l’emergenza ambientale sia oggi avvertita dalla popolazione mondiale

come il maggior rischio o danno, destinato a crescere per le interazioni e il mutuo alimentarsi con

crisi economiche e guerre; e quindi con ulteriori motivi di consolidamento dei problemi sociali (in

primis migrazioni forzate e rifugiati) e dunque del disagio e del terrorismo. L’Ocse scopre «i limiti

dello sviluppo»:se le tendenze attuali proseguissero con le previsioni di crescita, pure rallentate, di

Cina, India e molte aree emergenti, nel giro di un trentennio avremmo il raddoppio della domanda di

energia, ma anche la crescita esponenziale delle alterazioni inquinanti: con quasi 4 milioni di morti

annui per problemi respiratori o epidemiologici dovuti a gas e polveri sottili, impennate delle

emergenze sanitarie dovute alle ondate di calore, oltre alla perdita delle fasce più vulnerabili del

territorio e irrimediabili cancellazioni di ecosistemi strutturali fondamentali (foreste equatoriali,

molto permafrost polare, ghiacciai di alta montagna, bacini di biodiversità, ecc.), con l’ invivibilità di

molte aree metropolitane. Gli obiettivi formulati a Parigi nello scorso dicembre – al di là della labilità

dei meccanismi attuativi – sarebbero innegabilmente compromessi.

Servirebbero invece strumenti rapidi di realizzazione e addirittura di miglioramento delle misure

previste dal documento finale della conferenza parigina: ma emerge la debolezza dei quadri

istituzionali rispetto a questo obiettivo.

Ciò richiama decisamente le azioni – continue e possibilmente coordinate – di comitati territoriali e

associazioni ambientaliste che, ben oltre la difesa dei patrimoni locali, dovrebbero «costringere» i

quadri decisionali ad andare oltre le declaratorie e ad attuare rapidamente le determinazioni in

questione. E assumere e diffondere la coscienza che la crisi ambientale non è più tanto

un’emergenza, quanto un dato strutturale, che richiede ormai politiche permanenti. Che rimandano

necessariamente a un modello di sviluppo non subalterno, ma in grado di circoscrivere e

ridimensionare, e addirittura normare, l’economia finanziarizzata. Non basta la «green economy»: la

riconversione verde delle produzioni deve essere «landscape oriented» ovvero dettata dalla

necessità di tutelare e valorizzare i contesti territoriali e i «valori verticali» dei luoghi.

La difesa del suolo – emergenza drammatica invocata disperatamente allorché le «città affogano»

sotto la pioggia – richiede non solo un blocco della tendenza al suo consumo, ma la ricostituzione –

ove possibile – degli apparati paesistici : vanno riconfigurati, anche con operazioni di renaturing, i

cicli biogeochimici, in primis quello dell’acqua. E intanto rispetto ai prossimi temporali alluvionali è

importante che si puliscano e si liberino gli alvei fluviali e torrentizi, le vie di fuga dell’acqua.

Serve pianificazione: della città, della mobilità, dell’energia, dell’ambiente, del paesaggio. Anche e

soprattutto per abbattere gli inquinamenti urbani, solidi, liquidi e atmosferici. Considerando che la

smart city (che pure sta registrando una non irrilevante e confortante crescita spontanea) non può

giocarsi solo in termini di innovazione energetica, tecnologica ed economica ma richiama la

ricostituzione di un quadro di sostenibilità e qualità ecologica e tipomorfologica della città che può

essere garantito solo da progetti e politiche mirati.

Vanno ricercate le operazioni «a bassa o nulla impronta ecologica»; da questo punto di vista è utile

esplorare davvero le opportunità offerte dalla citata innovazione: per esempio una nuova linea di

tram può significare semplicemente una corsia riservata e un sistema di colonnine elettriche a

ricarica rapida, come già avviene con il «Blu Tram», mezzo elettrico a batteria che viaggia senza

binari e linee aeree. In generale le infrastrutture vanno realizzate se hanno una domanda effettiva e

nelle forme meno impattanti (per chi conosce Milano e le sue recenti trasformazioni invito a

riflettere sulle enormi differenze di fruizione e di utilità tra Garibaldi/ Piazza Gae Aulenti, e i nuovi

grattaceli del grande capitale atterrato a ingombrare la città, Bosco Verticale compreso): le grandi

arterie e le gallerie ferroviarie e metropolitane realizzate decenni fa durante le fasi della città in

espansione e ancora relativamente dense nel nord Europa, presentavano problemi infinitamente

minori della realizzazione di grandi opere anche sotterranee nell’odierna città consolidata, anche a

ridosso del centro storico; con ecosistemi già alterati che spesso non sopporterebbero ulteriori

manomissioni e cantieri ingombranti (sottoattraversamento di Firenze ).

Ancora il calo del prezzo del petrolio può costituire un pericolo, in quanto ostativo della necessaria

transizione rapida verso le energie rinnovabili: bisognerebbe assumere lo stesso atteggiamento

tenuto negli ultimi anni rispetto al carbone, riproposto ovunque a ogni piè sospinto, dati i prezzi in

picchiata;ma quasi sempre rifiutato dalle popolazioni, fino a finire sostanzialmente fuori gioco in

occidente; ed essere ridimensionato fortemente ovunque. Analogamente nel settore rifiuti va

proseguita la tendenza verso i «rifiuti 0», rifuggendo dalle false opportunità offerte da

pseudoinnovazioni ad alto impatto (termovalorizzatori ecc.).

Nel nostro paese va abrogato o profondamente cambiato lo «Sblocca Italia» che ha in parte

recuperato le grandi quanto infauste opere della defunta Legge Obiettivo. È urgente approvare la

legge sul blocco di consumo di suolo, impantanata in Parlamento. Per la transizione verso

un’economia eco-territorializzata forse serve generalizzare la posizione di qualche anno fa, di un

imprenditore come Renato Soru, allora presidente della Regione Sardegna, all’approvazione del

virtuoso Piano Paesaggistico: «Il paesaggio disegna anche i profili del prossimo sviluppo

economico». Qualunque cosa esuli o risulti incompatibile con le misure che esso detta è da evitare,

anche per la riconversione ecologica delle produzioni.

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